Guida poco ragionata all' ascolto dei GRATEFUL DEAD

Guida poco ragionata all' ascolto dei GRATEFUL DEAD

Bear

Bear
Bear aka augustus Owsley III e Jerry Garcia

venerdì 20 maggio 2011

In Morte di Augustus Owsley Stanley III, aka BEAR, Mecenate Sintetico per un Paradiso Sonico.

Come ho scritto nel precedente post, i Dead sono un anomalia per molti aspetti, nel panorama musicale dell' ultimo secolo ed in virtù di ciò, hanno vissuto secondo leggi tutte loro.
Non si è mai visto, infatti un gruppo Rock la cui carriera live risulti quasi interamente documentata e facilmente disponibile a tutti; le prime registrazioni risalgono addirittura al 1965, anno di fondazione ufficiale della band.
Questa particolarita' è stata il motore principale della loro popolarità presso il popolo hippie dei '60 che, in anni in cui internet era solo una fantasia da libro di science-fiction, trovò un mezzo di  aggregazione sociale registrando  le cassette dei concerti; queste venvano scambiate in maniera da prima disorganizzata, con annunci su riviste e passaparola per poi arrivare a modalità sempre più codificate ed ufficiali, che portarono alla nascita della prima rivista fatta da Deadheads per i deadheads, RELIX, magazine espressamente dedicato allo scambio ed alla diffusione delle Tapes.
Ma, il primo personaggio che ebbe l' idea di registrare i concerti dei nostri fu' un giovane rampollo di una ricca famiglia del Kentucky dal nome altisonante di Augustus Owsley Stanley III.
Il Nostro Augustus, oltre ad un carattere particolarmente autoritario, era di sicuro un personaggio quantomeno poliedrico e singolare, capace di portare a termine quasi ogni impresa gli venisse in mente, tanto da recarsi in biblioteca, affittare tutti i libri che trovava sull' argomento, e riuscire nel giro di un mese a sintetizzare quello che venne conosciuto poi e salutato come il migliore acido lisergico mai apparso sulla piazza californiana!
 Potrebbe sembrare una leggenda, ma è davvero così che andò; Bear, come venne in seguito battezzato, divenne celebre nell' ambiente alternativo dei '60 come il "cuoco" dell' ancora per poco legale LSD.
Molti gli aficionados  dei suoi servigi anche fra le celebrità;, si dice che Jim Morrison, il re lucertola, abbia scritto i suoi versi migliori sotto l' effetto dell' "Orange Sunshine", uno dei prodotti di punta della premiata ditta Owsley.
Ma uno dei Leit Motif di Bear, secondo quello che molti hanno raccontato, era il tema del controllo mentale, tanto che, secondo Rock Scully, manager dei Dead, Owsley rimane tanto colpito la prima volta che ascolta la band, da decidere che con quella band eccezionale sotto la sua guida,potrebbe conquistare il mondo!
La prima mossa di Bear è quella di proporsi come mecenate del gruppo, promettendo loro una strumentazione più adeguata , oltre a garantirne il vitto e l' alloggio; cosa che permette ai Dead di dedicarsi alla musica al 100%. L' unico problema è che Bear, come detto, è un fanatico del controllo,tanto da arrivare a vietar loro di mangiare nient' altro che la carne di prima scelta ed i prodotti di derivazione animale che lui stesso compra ed usa per nutrirsi, restando per tutta la vita un sostenitore dell' idea che l' uomo è un animale carnivoro e, per tanto, incapace di assimilare in maniera corretta prodotti vegetali o non animali che siano. In un' intervista rilasciata recentemente, mentre era in terapia per dei problemi al cuore, Owsley arriva a sostenere che questi sono stati causati dalla verdura che gli venne propinata da bambino, ancora ignaro dei vantaggi della carne!
Phil Lesh, bassista dei Dead, racconta nel suo libro "Searching for the Sound" che, in un periodo del '67 di poco precedente all' uscita del primo ed omonimo disco, mentre si trovavano tutti a L.A. per farsi conoscere fuori dalla natale San Francisco, il caro Bear, produceva migliaia di "Orange" nella soffitta della casa presa in affitto, mentre il gruppo provava al piano terra coprendo così l' infernale rumore dell' enorme  macchina usata per confezionare i "francobolli lisergici". Ma, sempre secondo il bassista, pare che la polvere soffiata dalla macchina filtrasse in minima parte ( ma parliamo pur sempre di proporzioni abnormi) penetrando il soffitto della stanza dove i nostri vivono e dormono, trovandosi dunque, in uno stato di perpetuo sballo che dura circa 3 mesi; durante i quali, ogni qual volta aprivano il frigo per mangiare qualcosa, si trovavano davanti a carcasse di animali macellati per farne bistecche, ma che, sotto trip, sembravano ai nostri cadaveri sanguinolenti!
Come accennato prima, pero', i meriti di Bear, non si limitano alla dieta alimentare o lisergica ma ,ben presto, gli fanno assumere la fisionomia del mecenate, così come poteva accadere da noi nel rinascimento. Finanziandosi con la vendita di stupefacenti, Owsley, compra, procura ed elabora i loro strumenti ed amplificatori, permettendo ad un gruppo ancora senza contratto di avere uno dei "suoni" migliori della West-Coast tutta, al pari di nomi più blasonati quali Doors, Love o Jefferson Airplane.
Ma, come al solito, il nostro non si limita a guardare ( o comprare, in questo caso), ma decide di assumere ancora una volta un ruolo di primo piano; ed essendo il talento che abbiamo visto, diviene in brevissimo tempo uno dei migliori tecnici del suono del periodo, con una fissa particolare ed adatta ad una personalità narcisistica come la sua: registrare ogni show così da potere poi risentirsi e far sentire ad altri i miglioramenti del gruppo ( e ...beh, si, anche del tecnico del suono, diamine!).
Questa pratica si rivelerà poi una delle carte vincenti per i Dead, che in questo modo, risentendosi dopo ogni prova o concerto, correggono gli errori e spostano in avanti i confini delle loro esplorazioni e sperimentazioni, arrivando come vedremo a raggiungere posti dove nessuno era stato mai prima.
Ma non è solo questo il risultato di queste pratiche di documentazione, infatti in questo modo, i Grateful dead, si ritroveranno poi negli anni con un archivio di registrazioni, battezzato "The Vault", "la cripta", che permettera' loro di appagare la famelica voglia di Live del gruppo che da sempre affligge i Deadhead.
Anche se negli anni successivi al '69-'70, subentrano altre persone alla guida della postazione mixer dei Dead, causa un arresto per spaccio di droga in cui incappò Bear e che lo tenne lontano per 3 anni, è di certo alle sue felici intuizioni che i GD devono buona parte del successo che avrebbero avuto per tutti gli ultimi 40 anni, ed, infatti, in maniera più o meno aperta i Dead sono rimasti sempre in fruttuoso contatto con Owsley che, da amico, tecnico del suono, ispiratore o cospiratore non si è mai allontanato troppo dalla scena.
Questo fino al 13 marzo 2011, giorno in cui Bear muore in un incidente automobilistico, vicino alla sua casa di  Mareebaa, nel Queensland in Australia.
I necrologi, è chiaro, si sprecano per un uomo che ha avuto un simile peso nella storia della musica e della controcultura giovanile, ma mi ha colpito particolarmente quello di Bob Weir, chitarrista dei GD, che a poche ore dall' incidente e dalla notizia lo ricorda sul sito ufficiale www.Dead.net, sopratutto come un amico ed un fratello maggiore, capace di insegnare tanto ma anche di farti perdere la testa, umano ma geniale e, di certo, fondamentale alla storia che qui raccontiamo e propedeutico alla musica che qui ascoltiamo.
Grazie Bear, questo è per te.

giovedì 19 maggio 2011

Missione Impossibile I - inquadrare una discografia sterminata

Ogni volta che mi capita di innamorarmi di un gruppo o di un solista, e non credo di essere un caso isolato, la prima cosa che faccio è trovare quante più informazioni posso sulla discografia dei/del suddetti/o, cosa immediatamente seguita dal tentativo, quando possibile, di leggere una bella bio/monografia ( quasi sempre in lingua Inglese) per cercare di avere una lettura quanto più completa dei motivi e degli eventi che sottendono le opere di un determinato artista; è andata così per Dylan, per Neil Young, per Springsteen, per gli Stones, per i Beatles, per Steve Earle ecc.ecc. è sempre andata allo stesso modo per quasi tutti gli artisti che ho amato in maniera profonda e volevo o pensavo che sarebbe andata allo stesso modo con i Dead.
Ma, come ho già scritto altrove, i Dead sono un caso a se stante e godono di leggi differenti da quelle che regolano il resto degli artisti.
Appena ho fatto una ricerca sul web per scoprire che dischi avrei dovuto procurarmi per primi sono stato travolto da una massa di informazioni (quasi prevalentemente in lingua Inglese) dalle proporzioni esagerate; tanto per iniziare  una discografia anomala; quasi coerente fino ai primi anni '90, ma che poi, all' improvviso, prendeva la forma di un fiume in piena e che, sopratutto, non accennava a rallentare o fermarsi nel '95, anno della morte di Jerry Garcia e fine ufficiale dell' avventura Grateful Dead, ma, anzi, sembrava ingranare una marcia ulteriore, aumentando in maniera esponenziale il ritmo delle pubblicazioni, fino ad arrivare all' odierno, ed incredibile, numero di ALMENO due album, che non sono mai meno che doppi cd ma spesso tripli o peggio, ogni 3 mesi !!!
Immaginate che tipo di seguito ci voglia, per una band che non pubblica dischi di materiale inedito da più dii 20 anni, per riuscire a mantenere un ritmo di pubblicazioni annuali che oscilla fra i 6 ed i 10 dischi, quasi sempre doppi, tripli, quadrupli per arrivare agli eccessi degli ultimi 3 anni che hanno visto aggiungersi, ai numeri di cui vi ho appena parlatato,  un ulteriore cofanetto sestuplo annuale ( 3 negli ultimi 2 anni!!) !!
C'è solo una parola che ci può aiutare a comprendere questo fenomeno che sfida tutte le leggi discografiche, e questa parola è...Deadheads! I Deadheads sono i fedelissimi ed irriducibili fanatici del gruppo che, secondo la leggenda, spesso lasciavano lavori, abbandonavano famiglie e certezze per seguire i Dead ovunque e comunque, alcuni riuscendo a vedere tutte o quasi le date di interi tour, vivendo in auto e furgoni (i mitici WV) e finanziandosi con traffici più o meno leciti (quasi sempre più) che prendevano vita nei celebri "Parking Lot", cioè i parcheggi antestanti gli stadi o le arene presso cui si tenevano i concerti.Ma ora sto divagando, e, dei Deadheads ci occuperemo in seguito,torniamo dunque all' anomala discografia dei nostri per dire che, almeno fino al 1991, anno di pubblicazione di "One from the Vault", le cose erano stare pressochè normali, certo, i Dead erano stati abbastanza prolifici, ma, da quell' anno, le cose, prenderanno una svolta molto più intensa.
Vediamo perchè.

Benvenuti!!

Benvenuti!! Questo è il primo post del mio primo Blog perciò... scusate eventuali errori tecnici e la semplicita' con cui partiamo ma tutti hanno una "prima volta" e, questa è la mia!
La prima domanda che  mi sono fatto e che, spero, vi facciate anche voi è: "perchè un blog sui Grateful Dead?" ...beh, a parte il fatto che mi pare sia effettivamente la prima pagina italiana prevalentemente votata ai GD,  se siete già dei Deadhead la risposta è semplice, se invece non siete particolarmente addentro alla "questione GD" potrebbe essere necessaria qualche spiegazione in più.
Proverò a raccontarvi in che modo sono stato contagiato dalla più incredibile, anomala ed infettiva passione per una "Idea" musicale che abbia mai incontrato.
Era la primavera del 2009 ed ero preda di una mania incontrollabile che riguardava la musica, su qualsiasi tipo di supporto, di Bob Dylan. Compravo indiscriminatamente Cd, libri, dvd alimentando questa voglia ipertrofica di conoscere tutto cio' che riguardava il Bardo di Duluth, affidandomi nella scelta del titolo successivo da "assimilare" a varie guide all'ascolto , finchè non arrivai al famigerato "Dylan & the Dead", il disco live del tour che nell'86 portò i GD a fare da "backing band" per Dylan in una serie di concerti che sulla carta si preannunciavano come uno degli eventi da ricordare dell' intero decennio. Eppure le recensioni di quel disco dalla bellissima copertina furono e tuttora sono, nella migliore delle ipotesi, tiepidi. Possibile che due giganti della poesia Americana abbiano partorito un topolino? Beh, la risposta non è semplice come potrebbe sembrare, per prima cosa bisogna andare a leggere cio' che lo stesso Dylan ha scritto sulle prove di quel tour nelle pagine della sua bellissima autobiografia "Chronicles 1", scopriremo così che il vecchio Bob non se la passava granchè bene, attraversava un periodo in cui pensava seriamente di mollare, si sentiva svuotato ed incapace di esibirsi in maniera decente, era arrivato al punto di non eseguire più una grande parte del suo sconfinato repertorio perchè non riusciva a raggiungere le vechie tonalità e non ricordava più non solo le parole di alcune canzoni ma, addirittura interi brani del suo repertorio tanto che, durante la primissima prova, con i GD  che gli proponevano vecchi pezzi dei suoi dischi considerati capisaldi degli anni '60 e '70, lui fugge via , dicendo di aver dimenticato qualcosa in albergo, finchè non si imbatte, in un bar in cui si rifugia per bere un drink, in un gruppo country di non professionisti che eseguono standards. Guardando il loro cantante Dylan ha una rivelazione e si ricorda una semplice tecnica che aveva usato abbondantemente in passato e, felice per questo "insight" torna in sala dai Dead dove le prove partono a razzo, sviluppando vecchi brani di Dylan riarrangiati per l'occasione assieme a svariati traditionals o classici del folk e del country Americano. Le recensioni di quei concerti sono quasi sempre oscillanti fra il buono e l'ottimo ed, in alcuni casi, tendono al favoloso, come è possibile dunque che il disco sia stato così duramente criticato?
In realta', quando ho ascoltato per la prima volta il Live non mi è sembrato così male, anzi, anche non essendo ancora un fan dei GD  l' ho apprezzato, specialmente in brani come "Slow train", "Gotta serve somebody" o "Queen Jane". Ma non mi sono fermato qui, sono invece andato a cercarmi i Live integrali e le suddette prove scoprendo così oltre ai prodromi di quello che sarebbe presto diventato lo stile che ancora oggi caratterizza Dylan, cioè quel misto di country, blues, folk e musica d'autore che si miscela in modo unico nei suoi ultimi dischi,  anche un nuovo gruppo da conoscere ed approfondire, visto lo sterminato corpus discografico e bibliografico che si rivelava ogni volta che provavo a fare una qualche ricerca su Internet.
Alla ricerca di un disco da cui iniziare e dopo varie consultazioni fra riviste come Mojo, Uncut e siti web mi decisi per il "Live Dead" fortemente motivato dalla presenza su quel disco di "Darkstar", esplorazione lisergica di oltre 40 minuti, in una versione da molte parti considerata come il definitivo manifesto della musica psichedelica in generale e dei Dead in particolare.
Sarebbe davvero difficile riuscire a spiegare in poche parole l' effetto che mi fece quell' ascolto. Una cosa è leggere delle recensioni o dei commenti, un' altra è scoprire che il Paradiso in Terra esiste ed ha un nome! 
Si, lo so, possono sembrare parole grosse o l' entusiastica reazione del neofita, ma posso assicurarvi che sono un ascoltatore smaliziato e con una certa esperienza eppure questo è l' effetto che mi fece ascoltare per la prima volta, almeno in maniera consapevole, Darkstar. Di certo mi era già capitato di sentire questo brano svariate volte vista la sua presenza nella colonna sonora di Zabriskie Point di M. Antonioni che posseggo da diversi anni in vinile, ma, la versione che potete ascoltare sulla soundtrack del film è la versione pubblicata come singolo nel 1968, una versione di soli 3 minuti, che presenta le semplici strofe con ritornello ma, per ovvi motivi di tempo, tralascia l' intero viaggio psichedelico, le adamantine reiterazioni intorno al centro che sembra spostarsi ad ogni oscillazione, le rotonde pulsazioni del basso "solistico" di Phil Lesh, gli infiniti ed affilati ghirigori di Jerry Garcia, insomma, in due parole, le improvvisazioni lisergiche che resero celebri i Nostri.
Live/Dead si apre con una scala di basso che si muove felpata e discreta, sembra quasi stuzzicare Garcia a farsi sotto, e così è, infatti, dopo pochi secondi la LesPaul di Jerry sfiora le note dei bassi, le accarezza per qualche giro, una manciata di secondi, finchè Phil Lesh itona il celebre intro di Darkstar, le cose adesso si fanno serie, ed anche gli altri entrano in gioco, la chitarra di Bob Weir, le due batterie e l' organo Vox di Pigpen....si decolla!!
La cosa che, personalmente, mi ha subito colpito durante il primissimo ascolto è l' incredibile suono d' ambiente, il riverbero profondo ma non invasivo che accoglie l' ascoltatore , come avrei presto appreso, in ogni lavoro di studio dei Dead, ma ancora più prodigioso in questo caso, un disco realizzato nel '69. Ed è proprio questo particolare ambiente, credo, ad essere responsabile di quella sensazione estatica che ricavo ogni volta che ascolto con attenzione Darkstar; come dice il ritornello, chiudendo gli occhi ho l' impressione di passeggiare sotto una "cascata di diamanti".
I brani che seguono non sono da meno, a cominciare da St. Stephen, the Eleven, movimento in 11/8 per chitarre elettriche e bassi compulsivi, le divagazioni soniche ante-litteram di Feedback per continuare con la cavalcata di Turn on your Lovelight, cover di un brano di Bobby"Blue"Bland, in cui è Pigpen, l' anima blues dei GD, a dirigere le danze. Ricordo che restai basito dall' incredibile serie di call and response nella parte centrale del brano, che ha una durata non inferiore ai 15 minuti, in questa versione, ma altrove raggiunge e supera i 40!!
La canzone seguente, Death don't have no mercy, un traditional reso famoso dal Reverendo Gary Davis, mi dette il colpo di grazia. Si tratta di un blues lento e dilatato in minore, con un testo da brividi ed una "pasta" psichedelica difficilmente rinvenuta prima in temi così marcatamente bluesati, interpretato da un Garcia in stato di grazia, come è d' altronde per tutto il disco, sia alla chitarra che alla voce. A questo punto ero di certo gia' "agganciato" e sufficientemente incuriosito da mettermi alla ricerca di una discografia organica oltre ad una buona biografia della band. Ma nulla, neanche i precedenti studi sistematici già diretti su autori quali Bob Dylan o Neil Young, potevano  prepararmi a quello che trovai. Come ho accennato in precedenza, infatti, il numero di riferimenti discografici e bibliografici ha dell' eccezionale, centinaia, e non esagero, di uscite ufficiali, cosa mai vista nell' ambito Rock, ma un po' più comune nel mondo jazzistico. In seguito avrei capito che era proprio questa la corretta chiave di lettura, i Dead sono piu' vicini concettualmente al jazz, proprio per l' approccio quasi filosofico all' idea di performance, vista come qual'cosa di unico e a se stante, come un momento irripetibile e, per questo, pienamente leggittimati a catturare e divulgare.
Da qui sarei partito per un appassionante viaggio che dura ancora alla ricerca di ogni registrazione dei GD su cui riesca a mettere le mani.